quarta-feira, 27 de maio de 2009

Ivan Della Mea su ilManifesto

Oggi ho letto un articolo di Ivan Della Mea sulla strage di Piazza della Loggia a Brescia (1974), mi è piaciuto, ho trovato interessante l'analisi che propone di quell'avvenimento e di tutto il periodo degli Anni di Piombo.
Una chiara e definitiva verità, giuridica e politica, non è mai emersa; questo fa sì che oggi ci siano persone, guarda caso per lo più di Destra, che ci invitano a porre quegli anni alle spalle e gettano dubbi sulla reale matrice di quella stagione, negando addirittura la possibilità di un disegno unico dietro le varie bombe. Proprio per evitare che questo revisionismo, come quello attuato per cercare di dare una facciata rispettabile al Fascismo, prenda il sopravvento e cancelli la memoria, desidero copiare quell'articolo, a futura memoria.

Le bombe che scoppiano ogni giorno
Ventotto maggio 1974. Brescia, Piazza della Loggia. Comizio sindacale, parla, se ricordo bene, Franco Castrezzati sindacalista della Cisl. Ore 10, 12. Scoppia la bomba piazzata in un cestino in fondo alla piazza: 8 morti, un centinaio di feriti. Tutti gli anni i compagni di Brescia mi vogliono nella ricorrenza. Tutti gli anni devo cantare «Ringhera» una ballata che ricorda l'evento. Lo farò anche quest'anno.
Epperò, da tempo, un pensiero m'intriga. Davvero la bomba è scoppiata in quel giorno a quell'ora. Sì e anche no: non è vero. E non è questione che riguardi la miseria mascalzona di una giustizia mai fatta e forse mai voluta fare.
Per me, dentro di me, quella bomba come tutte le bombe da Piazza Fontana in poi, fino all'Italicus, fino alla stazione di Bologna, continuano a scoppiare, scoppiano sempre, ogni giorno: non sono una memoria storica, no, sono una presenza viva.
E mi sta bene che sia così: le memorie ancorché storiche prendono via via la patina del tempo, si smussano, piano piano rientrano nella banda di compatibilità senza più punte verso l'alto e verso il basso: fanno la linea grigia dell'assuefazione che apre la via della rimozione.
No, non rimuovo, non dobbiamo rimuovere; non c'è contabilità a pareggio tra brigatismo rosso e terrorismo nero per la stessa fermissima ragione per la quale non può esserci, signor Presidente, pari e patta, cunetta e dosso, tra i morti partigiani e i morti repubblichini fascisti.
La bomba di Brescia, di quella sto parlando come segno di tutte le bombe stragiste, deve continuare a scoppiare dentro di noi per imporci di ragionare sull'eversione di destra, sulla progressiva vanificazione di tutte le conquiste dei lavoratori, sull'azzeramento dello Statuto stesso dei lavoratori, sull'inizio di quel processo di omologazione che Pier Paolo Pasolini (1974, stesso anno) definì demofascismo e che non si è fermato nonostante le vittorie delle grandi battaglie sociali: divorzio e aborto; è andato avanti fino a esaltarsi e ad avanzare con progressione geometrica dopo il mancato sorpasso del Pci (1976), fino a diventare il democlericofascismo che oggi si vive.
E la bomba infame e tutte le bombe ancora mi scoppiano dentro vedendo la disunità microcosmica dei partiti della sinistra, la loro incapacità di opposizione dura, costante, l'assenza di un progetto politico e culturale capace di promuovere la solidarietà, la fratellanza, l'ascolto, la tolleranza nei confronti di tutte e dico tutte, le diversità.
Davvero non se ne può più e in giro c'è molta sofferenza umana e altrettanta insofferenza politica: perché io so che i precari non ne possono più e che anche i pensionati cominciano a incazzarsi di brutto e sarà anche bellissimo, e lo è, che l'80 per cento di italiani siano proprietari di casa (non so quanti con mutui), ma avere la casa e anche un tavolo con le sedie e anche i piatti e la miseria siccome primo e secondo e frutta non fa bello, proprio no.
Anche per queste ragioni quella bomba continua a scoppiarmi dentro poiché l'unica democrazia per me concepibile è quella che si pone il compito di liberare l'uomo dal bisogno e financo dal bisogno del bisogno e, dunque, il 28 maggio tornerò in Piazza della Loggia per cantare contro quella bomba del 1974 che è gemella della bomba che ho dentro nel 2009, ma concluderò riproponendo la lotta amata con le «scarpe rotte» e con la coscienza che «bisogna andar».

sexta-feira, 8 de maio de 2009

Riporto qui un articolo di Eduardo Galleano pubblicato su ilManifesto del 7 maggio '09.
Mi riconosco nei quesiti che pone e nelle considerazioni che esprime, tuttavia lui ha un talento letterario che non ho, quindi lascio alle sue parole il mio pensiero.

Scusate IL DISTURBO
Chi è terrorista? Colui che lancia le scarpe o colui che le riceve? Perché non sono in carcere gli autori delle stragi più feroci? Queste e tante altre domande sulla giustizia ingiusta nel mondo che funziona alla rovescia
Voglio condividere alcune domande, idee che mi ronzano in testa.
È giusta la giustizia? È salda sulle sue gambe la giustizia del mondo alla rovescia?
Il lanciascarpe dell'Iraq, colui che tirò le scarpe contro Bush, è stato condannato a tre anni di carcere. Non meritava invece una onorificenza?
Chi è il terrorista? Colui che lancia le scarpe o colui che le riceve? Non è forse colpevole di terrorismo il serial killer che, mentendo, inventò la guerra dell'Iraq, assassinò un mucchio di gente, legalizzò la tortura e ordinò di utilizzarla?
Sono forse colpevoli gli abitanti di Atenco, nel Messico, o gli indigeni mapuches del Cile, o gli kekchíes del Guatemala, o i contadini senza terra del Brasile, tutti accusati di terrorismo per aver difeso il loro diritto alla terra? Se la terra è sacra, anche se la legge non lo dice, non sono forse sacri pure coloro che la difendono?
Secondo la rivista Foreign Policy, la Somalia è il posto più pericoloso di tutti. Ma chi sono i pirati? I morti di fame che assaltano le navi, o gli speculatori di Wall Street, che da anni assaltano il mondo e adesso ricevono ricompense multimilionarie per le loro fatiche?
Perché mai il mondo premia coloro che lo spogliano?
Perché mai la giustizia è cieca da un occhio solo?
Walmart, l'impresa più potente di tutte, proibisce i sindacati.
MacDonald's pure.
Perché mai queste imprese violano, con delinquente impunità, la legge internazionale? Sarà forse perché nel mondo di oggigiorno il lavoro vale meno della spazzatura, e ancora meno valgono i diritti dei lavoratori?
Chi sono i giusti, e chi sono gli ingiusti?

Gli intoccabili delle cinque potenze

Se la giustizia internazionale esiste davvero, perché non giudica mai i potenti? Non sono in prigione gli autori delle stragi più feroci. Sarà forse perché sono loro ad avere le chiavi delle prigioni?
Perché mai sono intoccabili le cinque potenze che hanno il diritto di veto alle Nazioni Unite?
Quel diritto ha forse un'origine divina? Vegliano forse sulla pace coloro che fanno gli affari della guerra? È forse giusto che la pace mondiale dipenda dalle cinque potenze che sono le principali produttrici di armi? Senza disprezzare i narcotrafficanti, non è anche questo un caso di «crimine organizzato»?
Ma non pretendono il castigo contro i padroni del mondo le grida di coloro che, dappertutto, chiedono la pena di morte. Ci mancherebbe altro. Le grida gridano contro gli assassini che usano il coltello, non contro quelli che usano missili.
E io mi domando: giacché quei giustizieri hanno una voglia matta di uccidere, perché mai non chiedono la pena di morte contro l'ingiustizia sociale? È forse giusto un mondo che ogni minuto destina tre milioni di dollari alle spese militari, mentre ogni minuto muoiono quindici bambini per fame o malattia curabile? Contro chi si arma, fino ai denti, la cosiddetta comunità internazionale? Contro la povertà o contro i poveri?

Il crimine della pubblicità

Perché mai i fervidi sostenitori della pena capitale non chiedono la pena di morte contro i valori della società dei consumi, che quotidianamente attenta contro la pubblica sicurezza? O non invita forse al crimine il bombardamento della pubblicità che stordisce milioni e milioni di giovani disoccupati, o mal pagati, ripetendogli giorno e notte che essere è avere, avere un'automobile, avere scarpe di marca, avere, avere, e che chi non ha non è?
E perché mai non si stabilisce la pena di morte contro la morte? Il mondo è organizzato al servizio della morte. O non fabbrica forse morte l'industria militare, che divora la maggior parte delle nostre risorse e buona parte delle nostre energie? I padroni del mondo condannano la violenza solo quando la esercitano altri. E questo monopolio della violenza si traduce in un fatto inspiegabile per gli extraterrestri, e anche insopportabile per noi terrestri che, contro ogni certezza, vogliamo ancora sopravvivere: noi uomini siamo gli unici animali specializzati nello sterminio reciproco, e abbiamo sviluppato una tecnologia della distruzione che, en passant, sta distruggendo il pianeta e tutti i suoi abitanti.

I dittatori della paura

Quella tecnologia si alimenta di paura. È la paura che fabbrica i nemici che giustificano lo spreco militare e poliziesco. E già che ci siamo con la pena di morte, perché mai non condanniamo a morte la paura? Non sarebbe forse sano farla finita con questa dittatura universale degli spaventatori professionali? Coloro che seminano il panico ci condannano alla solitudine, ci proibiscono la solidarietà: si salvi chi può, schiacciatevi reciprocamente, il prossimo è sempre un pericolo in agguato, occhio, fa' molta attenzione, questo ti ruberà, quello ti violenterà, quella carrozzina nasconde una bomba musulmana e se quella donna ti guarda, quella vicina dall'aspetto innocente, di sicuro ti attacca la peste suina.
Nel mondo alla rovescia, fanno paura anche i più elementari atti di giustizia e il buon senso.

L'ordine razzista tradizionale

Quando il presidente Evo Morales iniziò la rifondazione della Bolivia, perché questo paese di maggioranza indigena smettesse di avere vergogna di guardarsi allo specchio, provocò il panico. Questa sfida era catastrofica dal punto di vista dell'ordine razzista tradizionale, che diceva di essere l'unico ordine possibile: Evo portava con sé il caos e la violenza, e per colpa sua l'unità nazionale sarebbe esplosa in mille pezzi. E quando il presidente dell'Ecuador Rafael Correa annunciò che si rifiutava di pagare i debiti non pertinenti, la notizia diffuse il panico nel mondo finanziario e l'Ecuador venne minacciato di castighi terribili per aver dato un esempio così cattivo. Se le dittature militari e i politici ladri sono stati sempre coccolati dalla Banca Mondiale, non ci siamo forse ormai abituati ad accettare come fatalità del destino che il popolo paghi il bastone che lo colpisce e l'avidità che lo saccheggia?
Ma non sarà che il buon sen so e la giustizia hanno divorziato per sempre?
Ma non erano forse nati per camminare insieme, vicini vicini, il buon senso e la giustizia?
Non è forse giusta e di buon senso quella frase delle femministe per cui se noi maschi rimanessimo incinta, l'aborto sarebbe libero? Perché mai non si legalizza il diritto all'aborto? Sarà forse perché allora smetterebbe di essere il privilegio delle donne che possono pagarlo e dei medici che possono farlo pagare?

Perché non si legalizza la droga?

La stessa cosa accade con un altro scandaloso caso di negazione della giustizia e del buon senso: Perché mai non si legalizza la droga? Non è forse, come l'aborto, un tema di salute pubblica? E il paese con più drogati che razza di autorità morale possiede per condannare coloro che riforniscono la sua domanda? E perché i grandi mezzi di comunicazione, così consacrati alla guerra contro il flagello della droga, non dicono mai che proviene dall'Afganistan quasi tutta l'eroina che si consuma al mondo? Chi governa in Afganistan? Non è forse quello un paese militarmente occupato dal messianico paese che si attribuisce la missione di salvarci tutti?
Perché mai non si legalizzano le droghe una volta per tutte? Non sarà forse perché forniscono il pretesto migliore per le invasioni militari, oltre a fornire i guadagni più succulenti alle grandi banche che di notte lavorano come lavanderie?
Adesso il mondo è triste perché si vendono meno auto. Una delle conseguenze della crisi mondiale è la caduta della prospera industria dell'automobile. Se avessimo qualche briciola di buon senso, e un pochettino di senso della giustizia non dovremmo forse celebrare quella buona notizia? La diminuzione delle automobili non è forse una buona notizia, dal punto di vista della natura, che sarà un po' meno avvelenata, e da quello dei pedoni che moriranno un pochino meno?

Ma la Storia non finisce

Secondo Lewis Carroll, la Regina spiegò ad Alice come funziona la giustizia nel paese delle meraviglie:
È là - disse la Regina-. È rinchiuso in prigione, scontando la sua condanna; ma il processo non inizierà fino a mercoledì prossimo. E, naturalmente, il crimine sarà commesso alla fine.
Nel Salvador, l'arcivescovo Oscar Arnulfo Romero constatò che la giustizia, come il serpente, morde solo gli scalzi. Lui morì a colpi d'arma da fuoco, per aver denunciato che nel suo paese gli scalzi nascevano condannati in partenza, colpevoli di esser nati. Il risultato delle recenti elezioni nel Salvador non è forse in qualche modo un omaggio? Un omaggio all'arcivescovo Romero e alle migliaia che, come lui, morirono lottando per una giustizia giusta nel regno dell'ingiustizia?
A volte finiscono male le storie della Storia; ma lei, la Storia, non finisce.
Quando dice addio, dice arrivederci.

traduzione Marcella Trambaioli

terça-feira, 5 de maio de 2009

1 maggio

Quest'anno ho festeggiato la Festa dei Lavoratori in Italia, a Torino. Direi, innanzitutto, che quest'anno ho festeggiato il 1 maggio. Perchè nel Regno Unito si lavora come un qualsiasi altro giorno del mese; in Londra si tiene una manifestazione che vede partecipare movimenti e partiti di Sinistra oltre ad alcune organizzazioni sindacali ma, considerate le dimensioni della metropoli, è un evento di scarso rilievo, per lo meno se raffrontate con alcune realtà del Continente.

Paola, Letizia ed altre persone che ho incontrato al corteo mi hanno fatto notare come la partecipazione e la passione fossero minori rispetto ad alcuni anni fa, prima della terza vittoria della Destra. Tuttavia, raffrontando la situazione torinese con quella londinese, direi che una manifestazione popolare di venti o trentamila persone in una città di meno di un milione di abitanti è degna di nota e tutt'altro che piccola. Certamente sono lontani i tempi, mai vissuti da me, delle folle piene di rabbia e speranza degli anni Settanta, molte persone che appartengono alla classe lavoratrice e/o si riconosce nei principi e nei valori socialisti disertano la manifestazione, preferendo sfruttare il fine settimana lungo per una breve vacanza o per trascorrere del tempo con la famiglia. Purtroppo si predilige l'aspetto Privato, il proprio piccolo nucleo, come se il Pubblico, volenti o nolenti, non influenzasse la nostra vita quotidiana... e i partiti di Sinistra non aiutano i cittadini ad assumere questa consapevolezza.
Spero solo che l'Italia non divenga come il Regno Unito: omologata.